Una grammatica del “Vedere” insieme, Patrizia Mania, 2023

Giovanna Bianco e Pino Valente (il duo di artisti che si firma Bianco-Valente) hanno intitolato Breviario del Mediterraneo questa installazione site-specific realizzata, per la cura di Brunella Velardi, negli spazi della canonica della chiesa del San Carlo, oggi sede del Dipartimento di studi linguistico-letterari, storico-filosofici e giuridici dell’Università della Tuscia. Coniugando la destinazione d’uso a spazio espositivo del CESCA (Centro Espositivo del San Carlo) con il proprio campo di interesse e con precedenti lavori (proprio con lo stesso titolo si ricorda un lavoro del 2018) (1), questa occasione è stata pensata dagli artisti per dar vita ad un’esperienza condivisa. Attraverso il workshop Immaginare il Mediterraneo e l’incontro con studenti e comunità del territorio, l’invito è stato quello di riflettere sul mar Mediterraneo al fine di creare insieme un’installazione sull’immaginario collettivo e sulla percezione comune di questo travagliato mare attraverso i suoi colori. Una tematica che interseca su un altro piano il progetto di ricerca Atlante dell’arte contemporanea nell’area del Mediterraneo(2) avviato nel dipartimento stesso e nel quale tra le ricerche censite figurano anche alcuni loro lavori. Dunque un progetto che collima con alcune traiettorie oggetto di esplorazione e di studio proprio nel luogo dove l’opera ha abitato. Ubicata infatti in uno spazio esposto agli agenti atmosferici e costruita con un materiale deteriorabile come la carta, ha avuto una “vita” limitata nel tempo. Una condizione di provvisorietà insita nella sua stessa natura di esperienza artistica che misura e compendia – un breviario, appunto – l’immaginario su questa porzione di mondo.

Com’è noto Breviario mediterraneo è il titolo di uno dei più famosi libri dello scrittore croato Predrag Matvejević(3). Un romanzo, un trattato poetico filosofico, un diario di viaggio. Tante le possibili definizioni che sono state proposte per descrivere questo testo, che di fatto però le schiva tutte ponendosi in una categoria di genere a sé stante riassunta propriamente nel titolo e nella sostanza. In assonanza con il richiamo qualcosa di analogo è stato negli intenti di Bianco-Valente che hanno concepito un lavoro collettivo in cui - dati i suoi specifici strumenti, le carte colorate – le tante sensibilità cromatiche evocate a ciascuno in maniera differente dal mar Mediterraneo sono assemblate per strati. Così, proprio in questo “monumento” fragile di frammenti colorati si scopre innanzitutto la moltitudine che accumulandosi nel contenitore raccoglie in una forma unica distanze e convergenze. La stessa uniformità perenne di cui scriveva proprio Matvejević a conclusione del suo viaggio affermando che se «le sue forme espressive si differenziano», resta che il mar Mediterraneo «è uno»(4).

Altrimenti detto e interpellando una fonte non chiamata in causa direttamente dagli artisti ma che sembrerebbe per certi versi corrispondervi, il filosofo caraibico Édouard Glissant contrapponendo il mar dei Caraibi al mar Mediterraneo, osservava: «Ho sempre detto che il mare dei Caraibi si differenzia dal Mediterraneo perché è un mare aperto, un mare che diffrange, mentre il Mediterraneo è un mare che concentra», aggiungendo che, molto probabilmente «se le civiltà e le grandi religioni monoteiste sono nate intorno al bacino del Mediterraneo, ciò è dovuto alla capacità di questo mare di orientare, anche se attraverso drammi, guerre o conflitti, il pensiero dell’uomo verso l’Uno e l’unità»(5).

Un carattere a onor del vero sul quale hanno insistito per lo più tutti coloro che con il Mediterraneo si sono confrontati, a cominciare da Braudel che chiedendosi lui per primo cosa dovesse intendersi parlando di Mediterraneo rispondeva: «molte cose allo stesso tempo. Non un paesaggio, ma molteplici paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma diverse civiltà sovrapposte le une alle altre»(6).

Al di là dello specifico di questa installazione, la metafora della plurale moltitudine nel contenitore unico si presta in maniera proficua a far da baricentro alla lettura più in generale del modo e del senso della ricerca artistica di Bianco-Valente. In proposito, considerando il loro procedere, si potrebbe parlare di una grammatica del vedere che, partendo da un’idea, il più delle volte reiterata nel tempo, attiva una moltitudine di riflessioni che attiene, oltre loro stessi, i contesti in cui l’opera si prospetta in modalità di assolo o in esperienze collettive condivise. Come se gli artisti, nel concepire un lavoro, accendessero un motore di energie dando vita di volta in volta ad un organismo che prosegue poi una vita propria.

Non c’è peraltro mai un sistema che possa dirsi posto a sfondo e a preludio di esiti preordinati, trattandosi di una messa in moto vitale di un’intuizione di base che nei modi con cui si sviluppa intercetta incidenze non predeterminate. In ogni loro lavoro, da uno spunto iniziale prende dunque corpo definendosi via via una filiera di percezioni e riflessioni tra loro concatenate cui è data la possibilità di produrre e riprodurre ma anche deviare in plurime direzioni dagli stimoli di partenza. Quasi si trattasse appunto di mettere in vita un organismo pluricellulare in cui ogni cellula possiede proprie specifiche identitarie ma anche tratti accomunanti con le altre e che via via prolifera con dinamiche prossime alla partenogenesi.

Come molti altri lavori, anche Breviario del Mediterraneo si conforma su una versione precedente, quella del 2018 cui si faceva riferimento prima. Possiamo quindi pensare ad un incipit, una sorta di matrice – l’intuizione di base – dalla quale si crea il laboratorio in fieri che innerva, qui come altrove, il loro e l’altrui sguardo sul mondo.


Bianco-Valente, Breviario del Mediterraneo, 2018, collage: strisce ritagliate da foto di cataloghi di viaggio, 90 x 90 cm

Un procedere che è un metodo costantemente seguito. Scorrendo sui lavori di Bianco-Valente si fa infatti rapidamente strada l’idea che a tenerli tutti insieme sia innanzitutto il dare spazio e tempo alla complessità dell’esperienza del vivere a partire da una suggestione iniziale. Nel momento in cui si assesta un’idea, quest’ultima si offre infatti sempre come stimolo a germinazioni ulteriori che avvengono in primis sul piano delle emozioni che suscitano. Proprio la componente emotiva è peraltro da ritenersi il sestante che guida il processo e per gli artisti ciò vale sia che si tratti della propria che dell’altrui riflessione. Un predisporsi all’ascolto che è ulteriore tratto peculiare su cui la critica si è particolarmente soffermata(7).


Bianco-Valente, Terra di me, 2018, stampa fine art

La particolarità dell’esperienza messa in atto, proprio perché mobile e suscettibile di inglobare sguardi, istanze, memorie, cambiamenti di rotta, fa sì che non protenda, non lo potrebbe, ad un risultato definito e neanche definitivo e che piuttosto sismografi e dia forma provvisoria a quanto sta avvenendo o è già avvenuto. Replicando in definitiva percorsi analoghi a quelli che descrivono gli andamenti dell’esistenza.
Si distingueva prima tra assoli e lavori condivisi che sono due binari paralleli lungo i quali si sviluppa l’attività di Bianco-Valente. Nel lungo excursus del loro sodalizio che ha preso l’avvio nel 1994, le relazioni con gli altri – soprattutto le comunità prescelte in molti lavori – non si sono affacciate subito e ancora oggi non rappresentano una prerogativa esclusiva. Se, infatti, in alcuni progetti la connessione con le comunità invitate è condizione preliminare; in altri, la condivisione, pur presupponendosi connaturata com’è allo stesso essere e operare in due, non è incorporata alla processualità. Due piani, dunque, che non si escludono e che semmai mostrano le aperture e la duttilità del metodo intrapreso.

Sviluppare tragitti di riflessione fatti di immagini, pensieri, parole a partire da una suggestione, un’emozione, un pensiero. Fin dagli esordi, quando i mezzi con cui si cimentavano erano prevalentemente la fotografia e il video, il metodo seguito si è mostrato costante. Un lavoro di esplorazione e di scavo dunque che andando sempre oltre la mera rifrazione retinica, spingendosi al di là della percezione di superficie fa di continuo emergere insospettabili anditi e anfratti che concorrono a dare corpo e vita all’opera nel suo insieme.


Bianco-Valente, Complementare, 2018, stampa fine art

Questa fluidità degli spazi e dei tempi indagati è un altro punto centrale della processualità messa in campo. Previlegiando l’accidentalità dell’esperienza, nell’estromissione di qualsiasi a priori, il processo cui sottopongono immagini, parole, luoghi, memorie si definisce sempre e peculiarmente nel corso del suo farsi giungendo inevitabilmente a percorrere ed assecondare direzioni imprevedibili.

Assodato che ormai da più di un secolo tutta la storia dell’arte sia intrecciata al tema dello sconfinamento tra arte e vita, la galassia delle tante e diversificate intercettazioni, giustapposizioni, sovrapposizioni e identificazioni non rende tuttavia possibile delineare una direzione univoca. Da questo punto di vista, anche Il modo di procedere di Bianco-Valente, tra connessioni e mobilità, ne è riprova.


Bianco-Valente, Land Code, 2015, Progetto site specific per Daunia Land Art, Candela, QR Code in pietra, Cm 300 X 300

Sul piano del linguaggio e delle tecniche impiegate, il sottrarsi sistematico alle consuete nomenclature pertinenti la tradizione dell’arte permette di avvicinare proficuamente le loro ricerche a una parte consistente di orientamenti della storia dell’arte più recente riassumibile proprio nella nozione di “forme di vita”(8). Involucro che rafforza l’idea che si sia di fronte ad opere vive nelle quali poter entrare e partecipare.

Entrando a nostra volta nel lavoro di Bianco-Valente, e cominciando a transitare lungo le tante direzioni suggerite dai loro progetti, si consolida l’impressione che, fornite le coordinate di base, si passi via via, per sommatorie e scarti, a introdurre in ogni caso sempre trasformazioni di visione, dialogo, ascolto, interazioni.

Quando ad esempio nel 2014 realizzano l’installazione Costellazione di me a seguito della partecipazione al programma ISP (Independent Space Program) presso il Whitney Museum di New York(9), il punto di partenza della riflessione è il rapporto tra socialità, urbanistica e storia e quanto i processi di gentrificazione odierni abbiano concorso a stravolgere le realtà territoriali. In questa circostanza assumeranno come quadrante per l’indagine il quartiere Chelsea di Manhattan decidendo di invitare a ripensare quei luoghi, stravolti o distrutti nel corso del tempo, una comunità di anziani lì residenti e con i quali entrano in contatto presso un locale centro ricreativo. Il tentativo è di prospettarne una ricostruzione a partire dal loro punto di vista, dalla loro esperienza, dalla loro memoria. Diffidenza e resistenza iniziali non impediranno la nascita di un laboratorio nel corso del quale prenderà vita una “costellazione” di storie personali (il “me” enunciato nel titolo). L’esito formale coagulante i diversi racconti di memorie vissute sarà infine una esemplificazione cartografica che restituisce filtrata dalle singole soggettività l’insieme delle trasformazioni intervenute.


Bianco-Valente, Costellazione di me, 2014. Backstage, Independent Study Program, Whitney Museum/The Kitchen, NYC.

Creare reti, costruire mappe cartografiche o manipolarne di preesistenti è peraltro proprio nell’ottica della condivisione, connessione e relazione, l’inclinazione seguita in molti dei loro lavori. Sia quando la cartografia appare iscritta nel corpo - si veda la mappa in Terra di me(10) e anche in Complementare(11) dove sfruttano le linee della vita nei palmi delle mani evidenziandole - sia quando si misura con il paesaggio storico. È il caso di Land Code un progetto site specific che si è materializzato in un vero e solido QR Code, un quadrato di piccoli moduli bianchi e neri di pietra installato nel paesaggio che a sua volta rinvia ad un sito web nel quale si può navigare tra immagini, progetti, testi di un workshop svoltosi con gli studenti dell’Accademia di Foggia e che aveva come tema la storia del Regio Tratturo Pescasseroli Candela lungo il quale per due millenni (oggi non più) hanno transumato le greggi di pecore dall’Appennino al mare e viceversa. Ripensare a questa storia geolocalizzando nella materia la riflessione – il mosaico di pietre - e coniugandola con la realtà immateriale del web è un modo per disegnare la congiuntura di un’ulteriore mappa. In altri lavori la mappa è stata oggetto di cuciture e ricuciture quasi sempre tese a voler ridisegnare i confini e a discuterne le labilità. Hanno infatti affermato: «Col gesto di ricucire le linee di separazione tra i vari territori vogliamo annullare i confini inflitti in maniera arbitraria, insieme a tutte le differenze e le problematicità che ne sono derivate». Inoltre hanno individuato un ulteriore livello di lettura in «quello che racconta del legame affettivo che ognuno di noi instaura con i luoghi e le persone che li abitano»(12).

L’arte da sempre attraversa frontiere percorrendo terreni impervi, sfidando ostacoli, scavalcando tabù, rivisitando e risignificando memorie.

Nel loro lavoro le memorie, proprie e altrui, sono una costante declinata in modi però sempre diversi in linea con quel procedere dell’esperienza esistenziale su un’intuizione che è, come detto, impulso iniziale e metodo. Eloquente, tra le altre, l’installazione permanente Il mare non bagna Napoli(13) allestita sul terrazzo del museo MADRE di Napoli nel 2015 in cui riprendono il titolo della celebre raccolta di racconti di Anna Maria Ortese che descriveva in maniera per certi versi spietata alcuni spaccati della città nel secondo dopoguerra. Aporie di una città in una memoria letteraria che, secondo gli artisti, ancora oggi a distanza di tanti anni, si sono mantenute immutate all’interno di una situazione sociale controversa, conflittuale e potenzialmente esplosiva. È la ragione per cui vi rendono omaggio declamandone nell’appropriazione del titolo la memoria che vivificano a cadenza annuale riverniciando la scritta, e così per altra strada prendendosi cura della vita dell’opera.

Dalla memoria, insisteva Bergson, è impressa la materia e proprio su questo vi sono in particolare due progetti di Bianco-Valente che seppure per strade differenti ne danno fattiva testimonianza. Il primo, Misuro il tempo, è un’installazione realizzata nel 2019 sull’edificio del Pio Monte della Misericordia in località Casamicciola Terme a Ischia. Si è trattato di un progetto di rigenerazione per il quale i due artisti hanno dichiarato di essersi fatti ispirare da alcuni brani sul concetto di tempo espunti dalle Confessioni di Sant’Agostino. «Se è vero – scrivono – che il passato esiste attraverso la nostra memoria, allargando questo concetto all’edificio del Pio Monte della Misericordia di Casamicciola, lo spirito di un luogo rimane presente estendendosi nel tempo anche a dispetto delle sue condizioni oggettive»(14). Sulla facciata dell’edificio la scelta di far aderire con della colla naturale uno strato di carta velina nera ha avuto lo scopo di mettere in risalto, nelle increspature della materia e nelle lacune determinatesi, le peculiarità del passaggio del tempo. Non c’è dubbio che la nuova pelle con cui è stato rivestito l’edificio sia anch’essa destinata a deperire. Fragile e precaria, di questa pelle non resterà nel tempo che la memoria documentaria di un passaggio che ha guardato a quella storia con nuovi occhi.

Sempre nel 2019, a Lama Monachile a Polignano a Mare realizzano con una scritta luminosa un intervento di arte pubblica che intitolano A forma di tempo. Il tempo qui richiamato è innanzitutto quello geologico che nel corso di una storia millenaria ha eroso la pietra calcarea fino a ricavarne la meravigliosa falesia detta appunto Lama Monachile. In seconda battuta è però intervenuto il tempo degli insediamenti umani che ne hanno sfruttato la conformazione venutasi a creare costruendo il borgo che ne ha fatto a sua volta una suggestiva difesa naturale. Torna in questo lavoro l’interesse cui già si faceva riferimento per le dinamiche relazionali tra socialità, urbanistica e natura e la stessa epigrafe “a forma di tempo” descrive esattamente ciò che, a livello di processi naturali e di insediamenti umani, il tempo ha determinato.

Qui come negli altri lavori l’opera non richiede una didascalia aggiuntiva, men che meno un pannello esplicativo che avrebbero il limite di unidirezionare la percezione e il senso da attribuirvi. Starà alla curiosità, all’interesse, all’emozione suscitata in ciascuno andare alla ricerca del senso più consono, fermarsi alla superficie o sviluppare e approfondire la suggestione.

Come si è detto, non predisporre esiti univoci è una scelta di metodo. La stessa che informa in ogni sua articolazione il processo creativo di Bianco-Valente a partire dall’intuizione originaria che irriga le plurime costellazioni che ne germogliano. Le reti di suggestioni, memorie, percorsi inattesi sono il modus operandi che gli artisti declinano come “modus vivendi”, come loro “personale forma di educazione permanente”(15).

Per le qualità che lo connotano il loro “nomadismo intellettuale” si configura, come ha ben sottolineato Velardi, nella “straordinaria capacità di una continua rinegoziazione di punti di vista”(16). Nel dialogo aperto e perenne, attraverso una grammatica del vedere insieme si è modellata anche qui al San Carlo un’opera che “vive” di una molteplicità di sguardi e che, rimestando l’immaginario cromatico sul mar Mediterraneo, ne rinfrange la bellezza e la fragilità con forse l’invito implicito a prendersene cura.

Note:
1) Bianco-Valente, Breviario del Mediterraneo, 2018, collage: strisce ritagliate da foto di cataloghi di viaggio, 90 x 90 cm.
2) Vd. Atlante dell’arte contemporanea nell’area del Mediterraneo: https://www.migrazionieuropadiritto.it/atlante-adia/.
3) P. Matvejević, Breviario mediterraneo [Mediterranski Brevijar, 1987], Milano, Garzanti, 2006.
4) Ibidem, p. 317.
5) É. Glissant, Introduzione ad una poetica del diverso [Introduction à une poétique du divers, 1996], Roma, Meltemi, 2020, pp. 15, 16.
6) F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia. Gli uomini e la tradizione [La Méditerranée, 1977], Roma, Newton & Compton editori, 2002, p. 24.
7) Cfr. A. Tolve, Bianco – Valente. Geografia delle emozioni / Geography of Emotions, Fisciano, MMMAC Edizioni, 2011.
8) Scrive Nicolas Bourriaud che «certi gesti, certe narrazioni, certi modi di essere (mi) sembrano degni di attenzione allo stesso titolo di una scultura o di un quadro», in N. Bourriaud, Forme di vita. L’arte moderna e l’invenzione del sé [Formes de vie. L’art moderne et l’invention de soi, 1999], Milano, Postmedia Books, 2015, p.11.
9) Bianco-Valente, Costellazione di me (Constellation of Me), ISP Whitney Museum, The Kitchen, New York City, 2014.
10) Bianco-Valente, Terra di me, 2018, stampa fine art, 78,5 x 115 cm.
11) Bianco-Valente, Complementare, 2018, stampa fine art, 115,5 x 85 cm.
12) Bianco-Valente in B. Velardi, Connessioni. Una conversazione con Bianco-Valente, in «Unclosed.eu», n. 32, anno VIII, 20/10/2021: https://www.unclosed.eu/rubriche/documenti/documenti-archivi-dati-testimonianze-imprese/367-connessioni.html.
13) Bianco-Valente, Il mare non bagna Napoli, 2015, installazione ambientale. Collezione permanente del museo MADRE, Napoli.
14) Vd. Bianco-Valente, Misuro il tempo: http://www.bianco-valente. com/prj/misuro_il_tempo_2019/misuro_il_tempo.htm.
15) Bianco-Valente in A. Tolve, op. cit., p.12.
16) B. Velardi, prefazione a Il libro delle immagini. Bianco-Valente, Milano, Postmedia Books, 2020, p. 7.


Testo tratto dal volume Immaginare il mediterraneo di Bianco-Valente, a cura di Brunella Velardi, Ed. Sette città, Viterbo. ISBN: 9791255240563


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