Marco Petroni - Essere singolareplurale, intervista a Bianco-Valente, 2011

Processo, relazioni, spaziatura, scrittura, luoghi, viaggio, traiettorie, costellazioni sono alcune delle componenti del linguaggio di Bianco e Valente, coppia nell’arte e nella vita. Ho incontrato Pino Valente e Giovanna Bianco nel loro studio napoletano. Mi lascio alle spalle il frastuono e la vitalità del mercato al rione Sanità per salire al IV piano di un edificio storico a scala aperta. Dall’incontro con i due artisti si rivela un mondo che solo parzialmente è possibile cogliere guardando le loro opere esposte nei musei di tutto il mondo. L’arte di BV è sempre stata più sperimentale che rappresentativa e quindi ha sempre avuto bisogno di un laboratorio, di uno spazio a sé dove portare avanti la sperimentazione, senza lo scopo di contaminare, peraltro, il mondo esterno. Un’arte ad alta densità e intensità che cerca di attivare la potenza che sonnecchia sotto la superficie dei luoghi che incontrano, delle azioni con gli abitanti/spettatori/attori delle loro installazioni. Un continuo, incessante interrogare l’inquieta energia potenziale delle cose. Sotto la superficie del reale, ci sono uno schieramento di messaggi e una folla di faccende minime ma intense che possono aiutare a de/saturare il tempo e lo spazio. Questa ricerca immateriale, questo lento lavorio sullo spazio e sulla sospensione produce delle coincidenze energetiche, una lateralità dello sguardo che genera un’interruzione, un’epochè dello spirito.

Un’immagine è ciò in cui il prima incontra l’adesso, in un lampo per formare una costellazione. La relazione del prima con l’adesso presente è dialetti- ca: non è qualcosa che si svolge ma un’immagine discontinua, a salti. Walter Benjamin, Parigi Capitale del XIX secolo, (I passages di Parigi)

Immersi come siamo in un presente smemorato e rimbecillito, le informazioni, le immagini, le impressioni che riceviamo, sono una successione di “cose” che niente differenzia o organizza. L’arte di Bianco e Valente tenta di attivare un processo vitale di discriminazione, di selezione “partecipata” sul reale. Una partecipazione molto lontana dalle pratiche degli artisti relazionali (Rirkrit Tiravanija, Philippe Parreno, Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan) teorizzate da Nicolas Bourriaud nel suo noto e invecchiato male Esthétique relationnelle, 2001). Il collage, lo zapping, il mixage non sono più delle semplici attività artistiche, ma sono la metafora della nostra percezione della vita. L’opera di BV non lavora sulla prossimità delle pratiche ma scava alla ricerca di un dialogo aperto con i luoghi e le storie, piccole o grandi narrazioni che attraversano e bucano il tempo. E’ dialettica, è un luogo in cui il passato incontra il presente, ma lo incontra come in sogno, come se fosse purificato dalla contingenza e si offrisse al semplice movimento del tempo. Un processo di spaesamento salutare che permette di guadagnare in lucidità e consapevolezza. Abbastanza esemplare in questa direzione appare Il Mare non bagna Napoli (installazione da realizzare alla Stazione Marittima di Napoli sotto forma di insegna luminosa). Un’opera strettamente legata all’arte intesa come dispositivo, come spazio di de/funzionalizzazione delle soggettività.
“L’uomo deve pur essere qualcosa” scrive Agamben “ma questo qualcosa non è un’essenza, non è nemmeno una cosa: è il semplice fatto della propria esistenza come possibilità o potenza”.


Bianco-Valente, Complementare, 2010, Video, 2’40’’

Marco Petroni: Da Unità minima di senso (2002): un sottile nastro di carta di 1 km scritto e disegnato a due mani come un lungo stream of consciousness alla recente installazione a Marrakesh, la scrittura come ipotesi di indagine sui luoghi, sulle culture, un sismografo di impercettibili connessioni conoscitive?

Bianco-Valente
: La parola è il mezzo attraverso cui ogni essere umano tende a condividere con gli altri la propria storia, le proprie esperienze e le proprie visioni.
Con le parole siamo in grado di indurre sensazioni, immagini, benessere (o malessere) nelle altre persone, è quindi chiaro il loro essere un tramite energetico oltre che un semplice mezzo di comunicazione. Anche il loro potenziale magico e curativo è noto fin dall’antichità, infatti è sempre esistita una figura dedita a guarire le persone (a ristabilire il loro equilibrio psichico) utilizzando semplicemente le parole: dallo sciamano all’esorcista fino allo psicologo.


MP: La superficie del pianeta non conosce più terre sconosciute o incognite, le mappe non contengono più spazi bianchi, tutto è ormai stato esplorato. Eppure ci sono ancora luoghi e mappe da ricucire? Le vicende di Jacques Jacotot, rivoluzionario francese del XVIII costretto all’esilio dai Borboni ne il Maestro Ignorante di Jacques Ranciere, mi hanno fatto pensare alle vostre ricerche sui tessuti neuronali e sugli stati modificati di coscienza. Quanto c’è di politico nella vostra ricerca artistica?

BV
: Non molto.
Percezione e relazione sono i concetti chiave del nostro lavoro, due parole facili facili che però vengono sempre fuori quando cerchi di definire l’esistente, sia dal punto di vista biologico- evolutivo, sia attraverso l’analisi delle dinamiche complesse messe in atto dalle sovrastrutture sociali e culturali legate all’uomo: la politica, l’economia, i movimenti di opinione delle masse, etc. Già l’atto del percepire implica mettere in relazione ciò che stai esperendo con il bagaglio delle precedenti esperienze presenti nel cervello, o quantomeno essere in grado di valutare lo stesso fenomeno da due punti di vista differenti.


Bianco-Valente, Linea di costa, 2011, Backstage

MP: L’attenzione al processo, nel vostro lavoro, pone di fronte alla rivelazione di un mondo senza confini definiti. Una sorta di finalità senza fine qualcosa di simile all’amore: non la soddisfazione, la sazietà o l’entropia, ma ulteriori ramificazioni d’energia, comprese le cadute e le mancanze, le sospensioni e le perdite.
Arte e vita, un dialogo continuo e incessante. 
Giovanna e Pino: Bianco e Valente?

BV
: In effetti, il processo creativo attraverso cui immaginiamo e realizziamo un lavoro sembra assumere, negli ultimi anni, quasi la stessa importanza dell’opera.
Sempre più spesso coinvolgiamo gli amici e le persone che entrano in relazione con noi, nella realizzazione delle nostre installazioni, e tutti sembrano molto felici di poter dare il proprio apporto alla formalizzazione dell’idea originaria. Come se si trattasse di una stessa storia che ognuno racconta con la propria voce e a modo suo. Questa apertura è probabilmente dovuta al fatto che lavoriamo da sempre insieme e siamo abituati a condividere idee e visioni.
La nostra recente mostra presso la Voice Gallery di Marrakech (preceduta da circa un mese di residenza nella città rossa) ne è un chiaro esempio: siamo arrivati in Marocco portando con noi delle istantanee di viaggio scattate in giro per il mondo e abbiamo chiesto ad alcune delle persone conosciute durante la permanenza di descrivere mediante un testo una di queste fotografie.
Una volta avuti questi testi, siamo andati negli atelier dei pittori dellamedina, che normalmente realizzano quadri per i turisti, chiedendo loro se erano disposti a realizzare un dipinto su commissione per noi: leggere uno di questi testi, ricreando così un’immagine nella propria mente per poi realizzarne un dipinto.
Un lavoro sulla percezione e sulla visione quindi, dove le fotografie, legate ad una nostra particolare esperienza di viaggio, sono state traslate in scrittura da persone che inevitabilmente hanno aggiunto nuovi livelli di significato, basandosi sul proprio vissuto. A loro volta i pittori, traslando il testo in una nuova immagine, hanno dovuto relazionarsi con l’immaginario che impiegano quotidianamente nella produzione delle loro tele. Quanto ognuno è riuscito a distanziarsi dal proprio vissuto per definire in maniera “asettica” l’immagine o il testo?
Il risultato finale dell’installazione è stato quello di affiancare una stampa di grande formato della fotografia di partenza al relativo testo (che è stato trascritto direttamente sul muro), affiancato, a sua volta, dal quadro creato dal pittore.
In alcuni casi, il quadro era incredibilmente vicino all’immagine di partenza, altre volte totalmente lontano, lasciando però immutato il fascino di vedere le trasformazioni legate ad ogni passaggio.


MP: Aria è un’opera ispirata dai versi di Alda Merini per un noto marchio di telefonia. Come si accorda la poesia con il quotidiano consumo di relazioni?

BV: “Tutti noi vorremmo essere trasparenti, ma vogliamo che nessuno ci conosca”. Erano questi i versi di Alda Merini con cui ci siamo confrontati per creare il video.
Poche, densissime parole che dicono molto sul modo in cui attiriamo gli altri facendo luccicare la nostra esteriorità, usando allo stesso tempo questo schermo di luce per nascondere al prossimo ciò che siamo (o non siamo) veramente.
La scena di una falena che viene attratta dal bagliore di una lampadina e comincia a danzarci intorno, bloccandosi però ogni volta al contatto con il vetro, ci è sembrato il modo migliore per porre in evidenza il senso delle parole di Alda Merini.


MP: Oltre ad essere degli appassionati fruitori di musica elettronica, accordate sempre grande importanza alla dimensione sonora nei vostri lavori. L’arte ha “voce”?

BV
: Nelle installazioni ambientali e nei video, il suono ha la capacità di aggiungere una ulteriore dimensione all’opera, che acquisisce così la possibilità di espandersi nello spazio, se necessario saturandolo.
In altri casi, pare invece essere proprio il silenzio il mezzo che rafforza lo scorrere delle immagini, permettendo uno scambio più fluido con l’interiorità del fruitore.
In questo senso, l’arte può avere voce, ma non si tratta di una condizione univoca.


Bianco-Valente, Frequenza Fondamentale, 2011, Acciaio, Cavo Elettroluminescente, Computer, Sonoro, metri 4,40×14, Installazione permanente nel parco di Villa Mascolo, Portici

MP: Questa rubrica racconta il Sud come territorio mentale ed inclusivo. Vivete a Napoli e da qualche anno avete avviato un progetto diffuso nel centro storico di Latronico, paesino in provincia di Potenza. Un racconto di questa esperienza nel paese natale di Giovanna e una considerazione più ampia sullo stare a Sud?

BV: A Cielo Aperto è il progetto che insieme a Pasquale Campanella/Wurmkos curiamo da circa tre anni per l’Associazione Culturale Vincenzo De Luca di Latronico.
Ogni anno nel periodo natalizio invitiamo uno/due artisti per una breve residenza e per un talk in cui presentiamo l’artista alla comunità di Latronico. In una seconda fase, gli artisti producono un’opera da installare in permanenza nelle strade del borgo antico, in modo da costituire negli anni un museo di arte contemporanea a cielo aperto, dove le persone possono godere delle opere senza entrare in un luogo deputato che ne alteri il contesto. In più, ogni anno realizziamo dei workshop gratuiti per avvicinare i giovani di Latronico a varie forme di espressione artistica.
L’associazione per statuto non accetta finanziamenti pubblici, per cui il tutto deve essere prodotto con circa 3.000 euro annui che i soci mettono insieme autotassandosi.
Al momento A Cielo Aperto include opere di: Stefano Boccalini, Michele Giangrande, Elisa Laraia, Giuseppe Teofilo, Eugenio Tibaldi, a cui si aggiungeranno una nostra installazione e una di Pasquale Campanella. Sono tutte opere site specific, nate relazionandosi con gli abitanti e con il territorio di Latronico.
Siamo felici di spendere la nostra vita a Napoli, il luogo che ci ha visto crescere e che ci ha formato. Certo, ci aiuta la consapevolezza di vivere uno dei posti più stimolanti al mondo (e più viaggiamo e più ce ne rendiamo conto), ma è comunque necessario un grandissimo dispendio di energie per portare avanti qualunque progetto.
Devi essere in risonanza con questa città e vibrarci insieme, altrimenti è in grado di distruggerti velocemente.


MP: Ora quattro movimenti da declinare: Viaggiare, Attraversare, Incontrare, Ascoltare?

BV: Secondo la geometria euclidea per quattro punti può passare una e una sola linea retta, ma questi quattro punti sono il riferimento attraverso cui passano le infinite vie che portano alla crescita personale di ciascun individuo (evidentemente l’apertura mentale non procede in linea retta). Vediamo: per crescere bisognaviaggiare, ma attraversando i territori, in modo da incontrare le persone e ascoltare le loro storie.
Ovviamente bisogna pur lasciare qualcosa in cambio, e cosa di meglio delle proprie storie, delle proprie idee e delle proprie visioni?

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Tratto da Abitare Web

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