Gianni Romano, Intervista a Bianco-Valente, 1998

Bianco-Valente potrebbero definirsi come produttori d'immagini elettroniche, ma si tratta d'immagini particolari, lontane dall'idea high-tech che la produzione digitale potrebbe suggerire.

Ciò che ci affascina delle immagini elettroniche è la loro similitudine con le immagini mentali. Eteree e transitorie, il loro manifestarsi è solo la momentanea espressione di un codice. Lavoriamo con immagini elettroniche a bassa risoluzione, proprio come se fossero le nostre immagini mentali, poco definite ed estremamente volatili.


lnfatti, la mia impressione è che si tratti d'immagini mentali ( e alcuni titoli dei vostri lavori lo confermano), immagini che in qualche modo siano state filtrate da una memoria post-tecnologica che ha presente i cambiamenti in atto, ma che ha un ricordo sufficiente di ciò che era il passato.

La nostra ricerca in questi ultimi mesi si sta focalizzando sulle dinamiche di interazione neuronale. Stiamo studiando la fisiologia del cervello e la logica dei processi che permettono il mantenimento dei ricordi e delle immagini mentali a livello corticale. Inevitabilmente, ci si arriva a chiedere dov'è il confine, se mai lo si può definire in maniera certa ed inequivocabile, fra cervello e mente. Fra substrato organico e coscienza.


Quali strumenti utilizzate per il vostro lavoro?

La telecamera è il nostro approccio più naturale alle dinamiche della realtà esterna, ne otteniamo scene per i nostri video ma anche singoli frame che una volta elaborati fissiamo sulla tela con uno speciale plotter, che stampa usando cera fusa invece dei tradizionali inchiostri. Sono tele delicatissime, ma solo in questo modo riusciamo a non perdere del tutto le particolari caratteristiche cromatiche delle nostre immagini. Ovviamente, l'editing video lo realizziamo al computer, che usiamo anche per sintetizzare o elaborare i suoni che ci servono come traccia audio.


Molti artisti, in special modo quando il mezzo tecnologico usato costituisce ancora una novità (come accade in questi anni con Internet), si lasciano un pò prendere la mano dal mezzo, il loro lavoro scompare e l'unica cosa che si vede sono delle sperimentazioni ludiche, l'artista che si diverte con il giocattolo nuovo. Credo che questo sia uno dei maggiori motivi per cui molta gente segua con enorme scetticismo opere realizzate con i nuovi media: è successo con la fotografia, è successo con il video.
Il vostro lavoro da invece l'impressione che non ci sia nessun distacco tra le vostre intenzioni e quello che gli strumenti vi permettono di fare. Ecco, vorrei sapere se tutto questo è intenzionale, se c'è una vostra consapevolezza.


Pensiamo che se c'è una teoria forte alla base del proprio lavoro, se la ricerca che si porta avanti è continua e a tratti persino ossessiva, alla fine si riesce ad utilizzare qualunque mezzo, materiale o immateriale, con naturalezza, come se fosse un normale prolungamento delle proprie intenzioni. Fino a quando ciò che ti spinge a creare un lavoro è la tensione dinamica al tuo interno, non è molto importante se per farlo usi la matita direttamente con la tua mano o una macchina, ci sono esattamente le stesse possibilità di usarle entrambe in modo poetico, con leggerezza e semplicità.


Una volta abbiamo fatto un discorso sul "postorganico" e ricordo che avevate delle posizioni interessanti, non proprio di tendenza.

Non crediamo abbia molto senso continuare ad aggrapparsi al solido e rassicurante concetto di corpo, cercando in tutti i modi di estenderne le capacità fisiche con protesi ipertecnologiche che solo parzialmente, e limitatamente nel tempo, possono porre rimedio al lento ma inesorabile decadimento organico che lo caratterizza fin dalla nascita. Possiamo immaginare il corpo come il mezzo per muoversi, nutrirsi e interagire dinamicamente con il mondo esterno, ma l'unica dimensione nella quale possiamo dire di esistere realmente è quella soffice e immateriale del pensiero, dei processi biochimici corticali. Postorganico, quindi, non può che significare liberarsi in maniera definitiva dai limiti spazio-temporali imposti dalla fisicità organica del nostro corpo e tendere a decodificare e traslare le esperienze acquisite su supporti attivi a base non organica.


In alcuni video combinate dei suoni creati appositamente con il computer, o rumori rubati da vari media. E' una ricerca che corre di pari passo con l'immagine oppure tradisce dei vostri interessi per la musica vera e propria?

Quando il suono non lo sintetizziamo direttamente al computer, la radio ad onde corte è lo strumento che produce le atmosfere che più si adattano ai nostri lavori. Le onde radio di questa gamma coprono distanze enormi e tendono ad arrivare molto disturbate a destinazione, facendo un facile paragone potremmo dire che si tratta di suoni "sfocati". E' bellissimo modellare questi rumori di getto, rallentandoli, riverberandoli e distorcendoli. Se non li avessimo sentiti allo stato grezzo, stenteremmo anche noi a credere nella loro reale provenienza.


E la vostra collaborazione con i 24 Grana?

Pur lavorando nella stessa città non ci conoscevamo di persona e, paradossalmente, l'idea di lavorare ad un progetto comune è venuta dall'esterno. Dopo un primo periodo, durante il quale abbiamo solo parlato di come intendevamo il lavoro che doveva nascere, è stata una emozione bellissima constatare che le scene e la musica, pur essendo nate separatamente (per evitare di assoggettare una all'altra come in un film o in un tradizionale videoclip) erano già in perfetta sintonia. Ed è stato necessario a quel punto solo la sincronizzazione e qualche piccolo aggiusto, per ottenere il video che ora si può vedere e che sarà inserito come traccia video sul loro prossimo CD in uscita fra qualche mese.

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giugno 1998

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