Bruno Di Marino, Dalla simulazione alla relazione, 2008

Se in passato il rapporto tra arte e scienza si manifestava attraverso un sistema di equivalenze simboliche – cosmiche (astrologia), spirituali (alchimia) – dal XX secolo in poi il processo di elaborazione estetica nella sua relazione con l'immaginario scientifico, ha assunto altri connotati: per esempio la riflessione su natura e artificio è andata oltre, configurandosi come una sfida tra reale e virtuale, dove il virtuale si è spesso sostituito interamente al reale; il mito settecentesco della macchina che prende il posto dell'uomo, si è rovesciato nell'uomo (l'artista) che si trasforma in macchina, attraverso protesi, estensioni, interfacce digitali. Per non parlare dell'evoluzione delle neuroscienze, che hanno spalancato all'arte incredibili orizzonti: pensiamo al rapporto tra i processi di formazione delle immagini interiori, alle modificazioni degli stati di coscienza e la creazione di composizioni astratte, dalla pittura al cinema strutturale alle arti elettroniche.

L'opera d'arte nei tempi antichi era un riflesso, una traduzione per immagini simboliche del sapere scientifico. Oggi – nel suo dover/poter utilizzare le nuove tecnologie – la creazione diviene essa stessa (una) scienza. Il dispositivo artistico coincide con quello scientifico. L'osservazione delle leggi che regolano la fisica o la chimica, trasposte all'interno dell'orizzonte estetico, sono fonte d'ispirazione metodologica, concettuale, formale.

Il lavoro di Bianco-Valente s'inserisce nel solco della tradizione antica, dove l'arte diviene metafora, ma anche racconto, illustrazione critica della conoscenza scientifica. Del resto alla scienza ortodossa, che si ostina a spiegare i fenomeni naturali esclusivamente attraverso formule matematiche, scomponendo all'occorrenza un problema complesso in sottoproblemi più semplici, Bianco-Valente contrappongono la metodologia della simulazione, la disciplina che studia la complessità, ricollegandosi direttamente ad un sapere pre-moderno, quando appunto l'astrologia – arte di mettere in relazione la posizione dei pianeti nel cielo con gli accadimenti terrestri – era considerata scienza. Ma le loro opere si profilano, al contempo, come paradigma di un nuovo rapporto strutturale di scambio, tra rappresentazione e funzionamento del pensiero. A differenza di altri artisti contemporanei, tuttavia, il duo partenopeo costruisce immagini “volatili”, fluide, mnemoniche e immateriali che sono, prima di tutto, emozionali; trasmettono cioè allo spettatore un vero e proprio benessere estetico psicofisico diffuso, prima ancora che parlare al suo cervello.

Le installazioni allestite per questa personale, insieme agli altri lavori non presenti, vanno letti come tanti capitoli di una graduale evoluzione del loro fare artistico, non in direzione di una estetizzazione della scienza, quanto piuttosto di una scientificazione dell'arte, sintetizzabile in alcuni concetti fondamentali, ovviamente non ordinabili cronologicamente:

a) simulazione (Breathless , Volatile)
b) alterazione (Altered State , Slow Brain)
c) narrazione (Deep Blue Ocean of Emptiness , Aria , Untitled)
d) ripetizione (Uneuclidean Pattern , I Should Learn from You)
e) relazione (Relational Domain , Tempo universale)

Il rapporto di scambio tra la macchina e l'uomo, tra il dispositivo elettronico e il contenuto poetico, può essere regolato tanto dalla regola quanto dal caso. Sia Volatile che Breathless , così come Machine is Dreaming , sono installazioni incentrate sul processo di simulazione. In Volatile gli artisti hanno programmato il computer in modo da replicare, attraverso un gioco di punti luminosi, il volo degli uccelli in stormo (fenomeno frequente anche nelle grandi città), fissando alcune norme che regolano il processo di formazione delle immagini: ciascun punto luminoso deve cercarsi altri due compagni per muoversi insieme ad essi, ma senza né avvicinarsi né allontanarsi troppo. L'osservazione ornitologica diviene così il modello per un'astrazione proiettata nello spazio. Sia Breathless che Machine is Dreaming sono invece due installazioni sonore: nella prima la protagonista è la parola (in quanto voce, suono, timbro): un computer seleziona e legge in tempo reale – attraverso il suo microprocessore – poesie scritte dai due artisti; ma l'imperfezione e la primordialità di questa voce sintetica umanizzano la macchina più che meccanizzare la voce umana; nella seconda installazione, il computer ha invece il compito di produrre, attraverso l'elaborazione di complicati calcoli matematici, un suono piatto che somiglia al rumore del mare sulla battigia. La conseguenza di tutti questi lavori è una totale sovrapposizione tra il dispositivo scientifico e quello artistico, all'insegna di una reciproca simulazione.

Una particolarità di Machine is Dreaming è che la scheda madre del computer poggia su alcune compresse psicoattive; ciò non comporta effettive conseguenze sullo status del dispositivo, è solo un'azione concettuale, che tuttavia rafforza il paragone tra i circuiti elettronici della macchina e quelli neuronici dell'uomo. L'hardware, così come l'essere umano, è soggetto ad alterazioni, spesso originate da virus. Nell'opera di Bianco-Valente l'alterazione è un concetto strettamente legato a quello della simulazione: la videoinstallazione Slow Brain , ad esempio, traduce in immagini gli stati cerebrali alterati proprio dall'assunzione di sostanze psicotrope, che agiscono sulla corteccia cerebrale distorcendo la percezione della realtà. Su questo stesso tema è incentrato il video Altered State , totalmente composto da frasi tratte dai diari del chimico svizzero Albert Hofmann che – dopo aver casualmente scoperto l'LSD – decise di sperimentarlo per primo su se stesso, annotando pagine e pagine sotto l'effetto di questa sostanza. Il risultato è un lettering rapido, quasi illeggibile, di parole, pensieri, associazioni, una sorta di ipertesto fortemente poetico in cui confluiscono scienza, arti visive e letteratura, non lontana in fondo da quell'estetica del frammento decostruito e assemblato ( cut-up ), teorizzata da uno “psicoscrittore” come William S. Burroughs.

É impossibile parlare di narrazione in senso stretto per Bianco-Valente, anche se le avventure della mente o la visualizzazione degli stati alterati di coscienza sono, a loro modo, racconti. É evidente che i lavori monocanale – con un loro inizio e una loro fine ben definita, visibili anche all'interno di rassegne video – rappresentano, meglio delle installazioni, l'attitudine narrativa dei due artisti. Pensiamo all'aula scolastica scandagliata in piano-sequenza dalla videocamera come se fosse un relitto sottomarino di Deep Blue Ocean of Emptiness : sembra che gli alunni abbiano lasciato questo spazio solo il giorno prima, mentre invece, a giudicare dall'arredo dei banchi e delle sedie, sono passati alcuni decenni. E – per quelle strane combinazioni che legano le opere di Bianco-Valente anche a distanza di tempo – non è forse possibile che i bambini di questa classe "fantasma" siano gli stessi che comparivano in subliminale successione nel video del 1996 Mind Landscapes cantando una filastrocca? Non lo sapremo mai. Non lo sanno neppure gli artisti, eppure è affascinante pensare che, col tempo, si sia creato, casualmente, un cortocircuito narrativo e anche mnemonico.

“Tutti noi vorremmo essere trasparenti / ma vogliamo che nessuno ci conosca”, questo verso di Alda Merini è il punto di partenza per il brevissimo video Aria , concepito originariamente per essere fruito sui display dei telefoni portatili della Nokia. L'immagine di una falena che gira intorno ad una lampadina accesa, attratta dalla luce ma respinta dal suo involucro di vetro, simboleggia lo scarto tra l'essere e l'apparire, il desiderio di entrare in contatto con l'altro e al tempo stesso la paura di mettere a nudo la nostra vera anima. Ancora una volta l'opera – che, in questo caso, si articola attraverso una forma narrativa minima – nasce dall'osservazione della natura e della psiche umana.

Ma è anche il dispositivo per il quale nasce Aria , il microschermo di un cellulare, a illuminarci su un altro aspetto della poetica di Bianco-Valente, la riflessione – anch'essa desunta dalle scienze naturali – sull'infinitamente grande e sull'infinitamente piccolo. Pensiamo allora ad un altro lavoro, Untitled , forse il più vecchio in ordine di tempo. L'immagine elettronica ci mostra la sagoma di una persona che cammina su un fondo rosso intenso: a ben vedere si tratta di una delle poche presenze umane che possiamo scorgere nelle opere installative dei due artisti. Ma, sarà poi davvero umana? E, sarà poi davvero una presenza o non è – come negli altri casi – un'immagine tutta mentale? Il video è incluso nella collezione permanente del Palazzo delle Papesse a Siena ed è presentato all'interno di un piccolissimo monitor incassato nella parete rocciosa, un francobollo di luce che emerge nell'oscurità più totale (una dimensione immersiva nel senso più puro del termine) e che richiama lo spettatore, un po' come la lampadina attrae la falena.

Per Bianco-Valente il dispositivo elettronico può essere esposto, denudato, sezionato, reso visibile nei suoi circuiti essenziali ( Breathless ), oppure nascosto, mimetizzato, smaterializzato ( Untitled ). Visibile e invisibile, come il titolo di questa mostra. Ma nella loro opera le dimensioni non riguardano solo il formato delle immagini e dei supporti, bensì anche la grandezza dei soggetti, la loro trasparenza. I due artisti prediligono l'utilizzo di visioni microrganiche, da (ri)animare al suono di battiti, vibrazioni, scariche elettriche. Astrazioni naturali e pulsanti, che replicano la trama instabile del pixel. Entrambe unità minime di senso, vitali le prime, iconiche le seconde.

Il loro interesse per le scienze neurobiologiche, si mescola all'attrazione per i processi random , per i cicli naturali, come Uneuclidean Pattern , dove il simbolo del grano agitato dal vento allude al ciclo vitale; ancora una volta ci imbattiamo nel concetto di simulazione, cui si aggiunge però l'idea di temporalità e serialità, rafforzata sia dalla linea di scansione che compare nell'immagine, sia dal dispositivo a loop con cui il video è trasmesso. Ed è proprio questo quarto concetto, ricorrente nell'arte di Bianco-Valente, ovvero la ripetizione temporale, ad informare molti altri loro video, come l'installazione I Should Learn from You .

La consapevolezza quotidiana di vivere, agire e operare in un dominio relazionale, con la conseguente analogia che si stabilisce tra mente e universo, senso e destino, come può non orientare il lavoro (oltre all'anima) dell'artista? Come può non trasformare la sua prospettiva spazio-temporale? Viaggiare in posti non turistici, confrontarsi con realtà diverse dalla nostra, conoscere persone che percepiscono il tempo in modo diverso, tutto ciò muta profondamente anche parametri, modelli e significati della rappresentazione.

Nel 2001 Bianco-Valente hanno iniziato il progetto RSM , legato ai viaggi e alle influenze astrali, con l'intento di verificare su se stessi la veridicità di un'antichissima teoria astrologica/astronomica, ricodificata negli anni '70 ad opera dello studioso Ciro Discepolo, che postula dei cicli annuali a cui ogni essere vivente è imprescindibilmente legato e la possibilità, spostandosi sul globo terrestre al rinnovarsi di ogni ciclo, di influenzare gli avvenimenti futuri. RSM non è stato ancora formalizzato come opera, ma ha già ispirato alcuni loro lavori, come ad esempio Relational Domain (2005), installazione composta da due videoproiezioni ad angolo, allusione al legame sottile che unisce tutte le cose. I viaggi di Bianco-Valente non sono semplici performance intime, private, invisibili al pubblico, bensì una sorta di esercizio spirituale volto a tracciare mappe fisiche e mentali, riflessioni sul rapporto tra luogo e destino. In occasione dei loro compleanni, i due artisti - dopo elaborati calcoli ottenuti per mezzo di un software sul moto dei corpi celesti - raggiungono luoghi precisi del globo terrestre, per ottenere gli influssi astrali desiderati. Sono viaggi spesso impervi verso luoghi difficili da raggiungere, eppure necessari, non procrastinabili.

Tempo universale (2007) è un'altra videoinstallazione – stavolta articolata in tre proiezioni di grande formato – che affronta la dimensione relazionale. La visione in movimento di alberi ripresi dal basso che si stagliano contro il cielo all'imbrunire, è un richiamo al concetto di ramificazione e di corrispondenza tra scrittura celeste ed esperienza terrestre; ma questo lavoro sottolinea ancora una volta quanto l'essere umano sia inglobato in un sistema di relazioni visibili e invisibili: pur vivendo a latitudini diverse, condividiamo lo stesso cielo e tentiamo – attraverso dispositivi come la radio ad onde corte – di condividere anche lo stesso tempo.

I suoni che sentiamo in Tempo universale e che accompagnano questa specie di ossessivo scrutare il cielo, alla ricerca di segni e pianeti, sono infatti generati dalle radio a onde corte; un tipo di trasmissione che, grazie alla riflessione ionosferica, è in grado di propagarsi in tutto il mondo. Per restituire quest'idea di simultaneità temporale, Bianco-Valente hanno progettato un dispositivo sonoro, articolato in dieci canali dolby surround , con altrettanti altoparlanti posizionati sul soffitto. L'installazione diviene per lo spettatore il pretesto per compiere un'esperienza di tempo oggettivo globale. Percepire il suono del mondo restando fermo in un solo luogo, non ricorda un po' l' aleph di cui parla Borges nel suo omonimo racconto? Un punto da cui osservare contemporaneamente tutti i luoghi del pianeta.

Su questa linea si muoveranno anche i futuri lavori di Bianco-Valente. La coscienza di essere avvolti sempre e ovunque da onde elettromagnetiche (naturali e generate dall'uomo), sta spingendo i due artisti a trasformare il loro stesso corpo in una sorta di antenna, per metterlo in risonanza con le forme di energia vaganti nell'universo; allo stesso modo, creando una catena di esseri umani a forma di spirale, è possibile captare emissioni elettromagnetiche naturali provenienti da altri pianeti, come ad esempio Giove.

Dalla simulazione alla relazione e viceversa, come un cerchio che si ripete all'infinito, passando attraverso altri stadi (l'alterazione, l'articolazione narrativa, la ripetizione temporale); questo sintetico tracciato non va inteso come un vero e proprio percorso, è una delle tante possibili letture di una ciclica esplorazione sulla natura delle cose, una pura suggestione critica dettata dalla visione congiunta della decina di installazioni presenti in mostra.

Dietro ciascun'immagine, dietro ciascun suono di Bianco-Valente, si cela una profonda riflessione scientifica ed un'attenta elaborazione estetica, ma il loro approccio resta sostanzialmente caldo : tanto è vero che per poter leggere e comprendere una loro opera non è indispensabile aver accesso alle teorie scientifiche che l'hanno ispirata. É sufficiente la capacità di emozionarsi e di naufragare nel profondo oceano blu della memoria, vibrando all'unisono con i suoni del cosmo.
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Tratto da visibile invisibile, Bianco-Valente Opere video e ambienti 1995-2008, ed. SHINfactory, Brescia_Parigi, 2008

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